Per due giorni su grandi fuochi, dentro a giganteschi paioli, il succo d’uva viene cotto lentamente ad una temperatura che non deve superare i novanta gradi, sino alla sua riduzione di un terzo del suo volume iniziale. E’ così che come ogni anno a Spilamberto (Mo), nel primo fine settimana di ottobre, le strade del borgo si riempiono degli aromi della bollitura del mosto: sabato 5 e domenica 6 ottobre nella patria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena si celebra un momento fondamentale della realizzazione del prezioso prodotto: non a caso avviene in autunno e suggella la conclusione dell’anno agricolo. Dopo questo rito, che è anche un’occasione di festa, la base del Balsamico tradizionale è pronta per essere pazientemente sottoposta alle fermentazioni naturali, all’azione degli acetobatteri e sapientemente invecchiata in botti di legno diverso, di grandezza a scalare, fino all’ottenimento dei sapori, degli odori e dei colori caratteristici di uno dei prodotti gastronomici più pregiati al mondo.

“Mast Còt” (mosto cotto, in dialetto modenese) è la manifestazione promossa dal Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale in collaborazione con il Comune di Spilamberto e la Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale proprio per celebrare questo rito: “Riunite all’ombra della Rocca Rangoni le 18 Comunità della Consorteria per due giorni sono impegnate nella cottura del mosto d’uva – spiega Maurizio Fini, Gran Maestro della Consorteria del Balsamico Tradizionale di Spilamberto – grazie al lavoro dei numerosi volontari e alla straordinaria atmosfera di collaborazione che si crea in queste due giornate, Spilamberto diventa la patria elettiva di ogni appassionato di Balsamico. Ma si tratta di un’occasione preziosa anche per il “semplice” pubblico, che ha la possibilità di osservare tutti i passaggi che precedono le ulteriori fasi di preparazione dell’Aceto Balsamico Tradizionale e partecipare alle degustazioni guidate; è anche il momento giusto per ascoltare dalla viva voce dei Maestri Assaggiatori la storia, le particolarità, gli accorgimenti che portano alla realizzazione di un prodotto unico, in una parola per conoscere il ‘saper fare’ del Balsamico”.

Questa sapienza popolare e antica è sopravvissuta nei secoli a guerre, terremoti, pandemie, mutamenti sociali, politici ed economici. Ne è sempre uscita indenne, se non più forte, in virtù dei valori lasciati in dote da coloro che nella penombra e nel silenzio della propria acetaia l’hanno pazientemente accudita e custodita, consentendole di diventare unica e irripetibile.
“Ma non sono solo la mano e la sapienza dell’uomo a rendere possibile questo piccolo ‘miracolo’; ad esse va affiancato il rispetto dei cicli della natura. Un’acetaia è infatti una cattedrale naturale dove si assapora il lento trascorrere del tempo, proprio come in un bosco, dove si resta in ascolto dei suoni e dei colori che lo avvolgono – conclude Fini -. Almeno 25 anni è il tempo che necessita un albero per crescere maestoso, così come quello che serve per ottenere un eccellente Balsamico Tradizionale”.